Per tanti anni da investitore e da consulente ho conosciuto il malessere che ti prende quando il mercato scende e con esso scende il tuo portafoglio, o peggio, quando i tuoi investimenti scendono mentre il mercato in generale sta salendo.
Tutti vorremmo guadagnare quando gli altri guadagnano, ma non vorremmo perdere quando tutti perdono. In sostanza vorremmo essere in grado di prevedere l’andamento delle quotazioni per essere investiti quando i mercati salgono, ma esserne fuori quando cominciano a scendere.
L’impossibilità di prevedere sistematicamente il futuro è una realtà difficile da accettare e per questo gli investitori si lasciano attrarre da ciò che ha avuto successo nel recente passato, attribuendo questo successo ad una presunta capacità di interpretare e anticipare i movimenti dei mercati. Salvo poi abbandonare la strategia quando questa non funziona e cercarne un’altra che sembra essersi comportata meglio e poi un’altra e poi un’altra ancora, e così via.
Purtroppo questi continui cambiamenti portano a un solo risultato: la maggior parte degli investitori si dichiara insoddisfatta dei propri investimenti e l’enorme quantità di denaro parcheggiata nei conti bancari e in strumenti monetari continua ad aumentare, come in segno di rinuncia.
Eppure la storia parla chiaro. A lungo termine gli strumenti monetari hanno ridotto enormemente il potere d’acquisto dei risparmiatori, mentre le azioni hanno moltiplicato quello degli investitori.
Quello che ci impedisce di beneficiare dei guadagni a lungo termine che derivano dall’investimento azionario sono le nostre emozioni, la paura della volatilità che noi ci siamo abituati a chiamare erroneamente rischio. In questo siamo stati aiutati dalle normative che, forse per assecondare la natura umana, impongono ai consulenti di attribuire ai loro clienti, dopo accurata intervista, un profilo di rischio al quale è associato un range di volatilità. Quando la volatilità del portafoglio supera la parte alta del range, il consulente deve consigliare di vendere parte dei componenti più “rischiosi” a favore di altri meno rischiosi. Al contrario, quando la volatilità del portafoglio scende sotto la parte bassa del range, il consulente può suggerire di acquistare componenti che un tempo erano più “rischiosi”.
In sostanza, il comportamento che scaturisce dall’osservanza delle normative pare essere quello di comprare alto e di vendere basso.
Ammiriamo tutti Warren Buffet, universalmente ritenuto il più grande investitore di tutti i tempi, per aver ottenuto risultati straordinari a lungo termine. Chi avesse acquistato azioni della sua Berkshire Hathaway nel 1987, e avesse mantenuto il titolo fino ad oggi, avrebbe moltiplicato il suo investimento per più di 100 volte, con un rendimento annualizzato superiore al 16% – più del doppio della performance dei maggiori indici azionari mondiali nello stesso periodo. Ma quel 16% è una media, naturalmente. Non tutti gli anni sarebbero stati uguali. Ad esempio, dal 30 giugno 1998 al 29 febbraio 2000, Berkshire ha perso il 44% del suo valore di mercato mentre la media delle borse mondiali ha guadagnato il 32%. Pochi investitori hanno resistito e, piuttosto, hanno abbandonato la strategia, vendendo il titolo per seguire la moda prevalente, il gregge. Così facendo hanno rinunciato al forte rimbalzo che poi ne è seguito. Durante quel periodo di grande “sottoperformance” Berkshire continuò a pubblicare i suoi utili reali, che crescevano molto di più rispetto a quelli delle “dot-com” – le società legate ad Internet – le cui quotazioni aumentavano senza sosta alimentando la salita degli indici, finchè la bolla scoppiò. A quel punto, mentre i mercati globali crollavano, Berkshire avviò una risalita spettacolare, lasciando coloro che l’avevano venduta in una situazione di impotente frustrazione – avendo perso prima sulla sua discesa e poi perdendo ancora assieme al resto del mercato.
Ma una “Autorità ancora superiore a Buffet” ci serve da secondo esempio.
Wesley Gray, nel suo scritto “Anche Dio verrebbe licenziato come Investitore Attivo”, calcola i risultati che avrebbe ottenuto un investitore che avesse saputo in anticipo quali azioni sarebbero salite di più nei successivi 5 anni. Partendo dal 1927, l’autore ha costruito un portafoglio che all’inizio di ogni quinquennio ha investito nelle azioni che poi hanno avuto la migliore performance alla fine del periodo. Il risultato sarebbe stato eccellente: 29% all’anno per circa 100 anni. Con quella performance avrebbe accumulato un capitale tale da possedere praticamente tutto il mercato. Ma adesso viene la cosa stupefacente: ad un certo momento, quel portafoglio incredibilmente buono sarebbe stato a – 75% rispetto al massimo precedente! Ricordiamo, il portafoglio investe solo nelle azioni migliori, ma a un certo punto anche le azioni migliori scendono bruscamente, come nel 2008. Le conclusioni dell’autore sono chiare – nemmeno Dio potrebbe soddisfare le richieste della maggioranza degli investitori. Pertanto non è sorprendente che la maggior parte delle persone non guadagni molto nel mercato azionario.
Alla luce di quanto detto, appare evidente che dobbiamo approcciare l’investimento in modo diverso da quello che la nostra natura umana vorrebbe – comodo e poco stressante – e che ci viene normalmente proposto per assecondare le nostre emozioni.
Dobbiamo avere una strategia che ci permetta di essere sempre coerenti e di sapere cosa fare, in ogni situazione di mercato.
Insomma dobbiamo perseguire una conquista personale: Vincere le nostre emozioni e agire in modo razionale.
Fortunatamente in questo abbiamo un grande alleato: Francisco Garcia Parames che nel suo libro “Investire a Lungo Termine” si è totalmente aperto, trasmettendoci la sua esperienza, spiegandoci il suo processo d’investimento e trattando in modo esaustivo questo universo degli investimenti, al punto da farcelo diventare famigliare. La sua lettura, anche ripetuta, ci porta ad una conclusione importante:
La volatilità – inevitabile e quasi sempre imprevedibile – è la grande amica di noi investitori, perché ci permette di cogliere occasioni che senza di essa non esisterebbero. Anziché cercare di prevederla, dobbiamo essere pronti a gestirla per creare le condizioni che ci consentano di godere pienamente dei frutti della successiva risalita. Non dimentichiamo mai che il mercato è imprevedibile a breve termine, ma nel lungo termine riflette sempre la capacità delle aziende di creare utili.
1 luglio 2019 Giorgio Angiolini